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Recovery Plan: vietato sprecare un euro, vietato pensare che le imprese siano fuori gioco

Mario Draghi è autore con Raghuram Rajan del Gruppo dei Trenta (G30) del paper “Reviving and restructuring the Corporate Sector post-Covid”. Ne parliamo in questo post

Francesco Guicciardini, grande nemico degli sprechi, soleva dire che “vale più un ducato in casa che uno speso male”. Lo storico fiorentino intendeva dire che ogni spesa superflua andava cancellata, prima di tutto.

Preferisco di gran lunga la visione lungimirante del Machiavelli al particulare del Guicciardini, ma questa massima andrebbe scolpita a calce in ogni pagina del Recovery Plan italiano, il fondo da 209 miliardi che l’Europa conferirà all’Italia per uscire dalla crisi innescata dalla pandemia, in un Paese che già non cresceva da oltre vent’anni, in un’Italia dove la produttività a dir poco arranca e la trasformazione digitale (soprattutto nell’ambito della Pubblica Amministrazione) langue, fra scartoffie di carta e smart working mal interpretato, a parte l’eccezione del Comune di Milano che, in pieno lockdown, ha superato la soglia dell’85% dei certificati digitali erogati (merito dell’Assessore, ex top manager Microsoft Italia, Roberta Cocco). Non per niente le gravi cause della ventennale crisi italiana sono soprattutto tre: una giustizia civile farraginosa e lentissima, una burocrazia inefficiente nel secolo dei servizi a portata di app (e della necessaria e urgente sburocratizzazione per avvicinare i cittadini alla PA) e una produttività troppo bassa (anche se lo smart working dovrebbe produrne un aumento). In un’italia col rapporto debito/Pil verso il 160% e in pieno inverno demografico, con saldo negativo fra nascite e morti, per completare un quadro allarmante.

In Italia, grazie a Next Generation EU, arriveranno 209 miliardi di euro di fondi europei, ma il Paese, in cui trionfano gli sprechi (basta pensare ai centri di vaccinazione con le primule annunciate dal Commissario Arcuri, quando la Germania sta vaccinando i cittadini tedeschi negli aeroporti chiusi, nei palazzetti dello sport sbarrati, senza sprecare preziose risorse in strutture che verranno rottamate finita la campagna vaccinale, ma del resto Arcuri è colui che ha speso 1,2 miliardi per inutili banchi a rotelle che, ovviamente non hanno impedito alle scuole di chiudere, poche settimane dopo la riapertura), in questo Paese dei Bonus che è diventata l’Italia, pochi sembrano sapere come spendere al meglio una montagna di miliardi, mai così necessari come dopo la devastante crisi che sta desertificando il settore industriale tricolore, già uscito fortemente ridimensionato, con una perdita del 25% di manifatture, dopo la crisi dei debiti sovrani del 2011. L’unica garanzia è che i controlli UE in corso d’opera evitino il peggio.

“Vale più un ducato in casa che uno speso male”: è una massima difficile da pronunciare in un Paese che sta affrontando – a colpi di bonus – la peggiore di crisi dagli anni della II guerra mondiale, nonostante il rialzo del terzo trimestre, prima della Seconda Ondata (dopo aver superato la soglia dei 70mila decessi), del ritorno delle zone rosse e del lockdown di Natale. Bonus vacanze (idea dei renziani, già autori del bonus 80 euro, salito a 100 coi pentastellati). Bonus WC per cambiare i rubinetti. Bonus monopattini. Non continuo per carità di patria. Forse l’unico che cambierà di una virgola l’economia del Paese sarà il Bonus edilizia, ma non si può pensare che basti rifare la facciata di un palazzo per uscire dalle sabbie mobili in cui ci troviamo.

La dispersione dei soldi pubblici in mille rivoli di micro provvedimenti che non avranno un impatto significativo sull’economia italiana, non cambia di una virgola la vita dei cittadini e spesso, vedi il bonus vacanze (2 miliardi inutilizzati), vengono lasciati lì, nel disinteresse generale.

Solo il cashback di Natale, sebbene costoso (4,7 miliardi di euro) sembra aver dato qualche frutto: fanno ben sperare i circa 9 milioni di download dell’app IO, che finora era snobbata dai nostri 8mila Comuni e che, se venisse riempita di servizi pubblici (per pagare TARI, IMU eccetera, senza fare code in banca), potrebbe finalmente snellire la burocrazia. MA non sarà il cashback, nato anche per diffondere l’uso delle carte di credito e della moneta elettronica, per combattere la piaga dell’evasione, a risolvere gli atavici problemi di questo Paese, come non sarà il bonus edilizia a rimettere in piedi un settore in ginocchio, anche se – ripeto – almeno questi due, seppur onerosi provvedimenti, vanno almeno nella direzione giusta.

Green, digitale, sostenibilità: sono i tre fattori chiave per spendere bene i 209 miliardi del Recovery Plan. Ma in un Paese che ha già sprecato malamente cento miliardi di debito in una manciata di mesi, per affrontare la crisi della pandemia e lockdown, nessuno nutre grande fiducia nel futuro che ci aspetta, nelle mani di una classe politica inconcludente se non addirittura NoEuro e pro ItalExit (vedi centrodestra di Meloni e Salvini, dietro alle sirene di Borghi e Bagnai). Fra la padella e la brace, senza contare la pletora di NoVax che già minacciano di vanificare il grande lavoro delle vaccinazioni di massa. Le vaccinazioni, altro capitolo spinoso: andrebbero fatte 137mila vaccinazioni ogni giorno, dal primo gennaio 2021, senza sosta, senza scioperi e senza festività, per vaccinare 47 milioni di italiani: ce la faremo? Serve massima trasparenza: nel bollettino serale, accanto al numero dei contagiati, delle terapie intensive e dei decessi, andrebbe segnalato il numero delle persone quotidianamente vaccinate, per capire quando sarà raggiunta l’immunità di gregge e usciremo da questo lungo, buio tunnel.

Dopo il Piano Colao, finito prematuramente in un cassetto, senza motivi, a rilasciare un paper fondamentale è stato l’ex Presidente Mario Draghi, che tutti vorrebbero al timone del Paese, salvo poi ricoprirlo d’insulti al primo Decreto, come del resto successe a Mario Monti, salito al Quirinale con un consenso stellare pur sapendo (il 93% degli italiani) che avrebbe richiesto inevitabili sacrifici.

Draghi, insieme all’economista dell’università di Chicago Raghuran Rajan, a capo del Think Tank internazionale Gruppo dei Trenta (G30), ha spiegato che da una crisi epocale come quella che stiamo vivendo da gennaio si esce solo rimettendo in circolo uomini e mezzi, cacciando le Zombie-economics e facendo un uso selettivo del debito. Dunque, l’opposto dell’italico inseguire lobby, clientele e sprechi, malversazioni di massa.

Dal paper di Draghi – Rajan si evince che nessuno uscirà dalla crisi come vi era entrato: i vari salvataggi di aziende-Zombie da parte del governo sono risorse gettate dalla finestra. Salvaguardare l’esistente, preservare lo status quo, è impossibile, mentre è cruciale adattarsi alla nuova realtà post-Covid, come direbbe Darwin.

Se i capitali da investire sono immensi (vedi i trilioni di dollari degli USA, di cui 900 miliardi solo nell’ultimo provvedimento), in campo ricoprono un ruolo fondamentale gli Stati o le confederazioni con le loro banche centrali. Ma ciò non significa che i privati siano fuori gioco, anzi, il loro contributo è essenziale, perché sono loro ad avere le competenze (anche digitali) e le conoscenze del terreno di campo in cui giochiamo.

Le imprese sono sull’orlo del fallimento e chiudono? Se ne aprano di nuove all’insegna del capitalismo “Green, Digitale, Sostenibile”, le parole d’ordine che delineano il contesto del Next Generatio EU. Draghi spiega che la distruzione creatrice di Schumpteriana memoria va anche incoraggiata, proprio per far emergere le nuove imprese ecosostenibili, digitali e non solo dedicate all’export. Già oggi sappiamo che a reggere meglio è stata l’industria manifatturiera più aperta e competitiva, quella che impiega lavoratori con skill digitali (chiudono l’anno con ordinativi in crescita dell’1,2% e un calo dei ricavi di appena -1,7%).

Il paper di Draghi – Rajan ha stabilito cinque criteri per classificare le imprese: le aziende in salute; quelle in salute, ma in difficoltà finanziarie (quindi con competenze e capitale umano per ripartire, ma temporaneamente senza ossigeno); quelle con problemi di liquidità; quelle con problemi di solvibilità; le imprese-zombie, perché la loro crisi è strutturale.

Nella devastante crisi del turismo (65 milioni di presenze in meno secondo Federalberghi: tra gennaio e settembre, le presenze negli alberghi sono state dimezzate), sappiamo che tutti gli hotel sono in crisi, ma non tutti sono imprese-zombie. La pandemia ha inevitabilmente cambiato il nostro modo di viaggiare, ma l’impatto sui viaggi potrebbe essere temporaneo oppure permanente: per esempio, le video-chiamate professionale su Zoom o Meet hanno dimostrato che una percentuale di viaggi di lavoro era inutile, ma il turismo andrà ridisegnato nei prossimi anni e nessuno ha la sfera magica. Il crollo delle presenze nelle città d’arte sicuramente non sarà permanente, ma nel settore turistico e dei viaggi professionali sarebbe l’ora di parlare di sinergie e rafforzamento UE, vedi il settore aereo dove urgono una nuova massa critica e alleanze mirate. L’ex startup dalle uova d’oro AirBnB si è quotata e ha raggiunto il valore delle cinque catene top di hotel USA, segno che prima o poi, finite le campagne di vaccinazione torneremo a girare per il mondo. Anche se, forse, in modo diverso dal consumismo dei primi vent’anni del nuovo secolo.

Per definire un’impresa decotta, bisogna dunque mettere nero su bianco tutti i fattori in gioco: le tendenze di mercato, l’equity e il debito, lo stato d’invecchiamento degli imprenditori, le PMI sotto i 50 milioni di fatturato, non quotate e non valutate, che non possono puntare su investimenti di private equity ma che potrebbero essere salvate con un fondo ad hoc.

In futuro la competizione avverrà per macro-aree: l’Europa ha un vantaggio su Cina ed USA in tema di energie alternative ed economia circolare, meglio sfruttare questa opportunità che sprecare risorse sull’Intelligenza Artificiale dove l’Eurozona non ha unicorni o startup promettenti.

Le startup, altro tema fondamentale e spinoso per l’Italia. Chi sa riconoscere quelle pià promettenti ed ambiziose? Digital Magics brilla nel settore, ma, a parte lei e Nana Bianca ed H Farm, in Italia sono rari i Venture Capitalist che non subiscano il retaggio anacronistico della cultura bancaria tradizionale. Nella UE a fine ottobre è avvenuto lo storico sorpasso delle vendite di auto elettriche e ibride sulle Diesel, ma se il consumo nell’Automotive sta cambiando, non è detto che che si aggiornino anche le infrastrutture: Akio Toyoda, della Toyota, ha detto che le electric cars rischiano di mandare in blackout intere nazioni. Che vuol dire? Significa che su strada i veicoli elettrici dovranno essere pochi, finché la produzione di energia elettrica non diventa più Green e non aumenta.

Insomma, il mondo evolve, dobbiamo lasciar fallire le imprese decotte, ma ancora non è detto se e come cambieranno i consumi. Quello che è sicuro è che del Recovery Plan è vietato sprecare un euro, ed è anche vietato pensare che le imprese siano fuori gioco amche nell’era del ritorno degli stati nell’economia, perché il capitalismo del debito non è un pasto gratis e non durerà per sempre.

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Autore: @CastigliMirella

@CastigliMirella, giornalista pubblicista. Dal 2000 ha collaborato con PC Magazine, Computer Idea, dal 2004 con VNUnet, dal 2007 al 31marzo 2017 con ITespresso.it. Con il progetto delle "Linee guida per la promozione della cittadinanza digitale: E-democracy", ha collaborato con il Ministro per l’Innovazione e le Tecnologie. Libri pubblicati: "I motori di ricerca nel Caos della Rete" (ShaKe edizioni, 2000); "Mela Marcia" (Agenzia X, 2010); "Faccia da Web" (Reg. Toscana e Dip. della Gioventù della Pres. del Consiglio dei Ministri); "Zero Privacy" (Videa #InstantBook, 2014). Nel 2013 ha collaborato con DigiArte 2013 - 10th edition, mostra d'arte che ha per la prima volta portato in Italia i Google Glass. A inizio 2014 ha pubblicato PorkaTroika, pamphlet dal titolo provocatorio che spiega come siano usciti meglio dalla crisi i Paesi che hanno seguito le ricette della Troika per abbattere il debito, e-book in vendita su Amazon al prezzo provocatorio di 99 centesimi: https://www.amazon.it/Porka-Troika-Ammazza-che-Crisi-ebook/dp/B00I8IVU6E

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