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Il caso Regione Lombardia

A Bergamo i morti sono aumentati del +568% nel mese di marzo, mentre a Roma, in piena pandemia, diminuivano di oltre -9%. Incremento a tripla cifra anche a Cremona (391%), a Lodi (371%), a Brescia (291%), a Lecco (174%), Pavia (133%) e a Mantova (122%). In questo tragico scenario, in un’intervista il Presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana ha affermato che rifarebbe tutto ciò che ha fatto. Nessun rimpianto. Nessun rimprovero. Non cambierebbe di una virgola la strategia che, senza la zona rossa di Alzano Lombardo e Nembro, ha portato a un’impennata delle vittime nella regione locomotiva d’Italia.

L’inefficienza della Regione Lombardia non può lasciare nessuno indifferente. Inefficienze che si sono sommate a conflitti istituzionali. Il tentativo di fare l’italico scaricabarile. La rete assistenziale sociosanitaria dei territori, smantellata dalla riforma sanitaria di Maroni che seguiva quella faraonica di Formigoni, ha creato le premesse per la Caporetto lombarda: i pazienti si recano in pronto soccorso invece di andare dal medico di base. Non c’è coordinamento tra i medici di base, l’ospedale e l’Ats. Ma, in particolare, l’ente Regione non ha saputo proteggere la sua vera eccellenza: il personale sanitario mandato a combattere a mani nude, senza mascherine e senza dispositivi adatti, un virus già insidiosissimo e pericoloso.

È la Lombardia la Regione dove sono morti più medici di famiglia. Un’ecatombe di personale sanitario che grida vendetta, dal momento che i medici e gli infermieri lombardi sono la vera ricchezza della sanità regionale, e non certo il sistema sanitario lombardo che, dopo le riforme di Formigoni (in carcere) e Maroni, è ormai un gigante dai piedi d’argilla. Nessuno contesta l’eccellenza di alcuni poli privati, ma la rete territoriale si è dimostrata un colabrodo. La Regione Lombardia non ha neanche ringraziato gli ospedali tedeschi che hanno salvato tanti cittadini lombardi, per fortuna lo ha fatto il Sindaco di Bergamo Giorgio Gori.

Manca la rete di coordinamento tra l’Ats e le amministrazioni. Ma l’Ats di Bergamo ha pagato quasi 16 mila euro un principe del foro per accusare i medici di base, gli eroi vittime di questa ecatombe, invece di destinare questa cifra per fare più tamponi e più test diagnostici, salvando più vite.

Le RSA lombarde si sono trasformate in trappole per anziani. La Lombardia vanta il poco invidiabile primato del tasso peggiore di mortalità per 100 residenti nelle strutture Rsa con 6,7%, contro il 4% dell’Emilia-Romagna.

In Lombardia da decenni il sistema privato corregge le inefficienze del pubblico e le minimizza. In Lombardia si curano ogni anno 160mila cittadini di tutte le regioni italiane, ma non ha poi saputo offrire posti in terapia intensiva ai suoi cittadini in carenza di ossigeno.  Come scrive Loris Jep Costa su Facebook “Si è invertito lo schema dell’ottimo paretiano: è il privato che corregge gli squilibri generali e sopperisce alle mancanze del pubblico.

Se le Regioni non rendono servizi e costano molto al cittadino significa che l’intermediazione della spesa pubblica è fatta male, è inefficiente e causa di squilibri. In Italia mancano le risorse per i servizi pubblici, che per numero e qualità sono diminuiti, che lo Stato eroga malamente al cittadino perché non alloca al meglio le risorse di cui dispone.

“La domanda a questo punto è la seguente: non è che gran parte dei problemi del Nord sono proprio legati ad una cattiva amministrazione piuttosto che all’idea che maggiore autonomia e federalismo siano una soluzione praticabile?”.

La risposta spetta ai cittadini lombardi. Se il Veneto ha affrontato la pandemia con serietà e pragmatismo, affidandosi alla competenza di un luminare della medicina, il virologo Crisanti, alle zone rosse e al metodo scientifico, ciò non è accaduto in Lombardia, una Regione che – a differenza del Veneto che vanta una rete territoriale ospedaliera di tutto rispetto -, aveva invece smantellato la sua prima linea, trovandosi del tutto esposta al Nemico Invisibile e impreparata a gestire uno Tsunami. Le cifre parlano chiaro: il disastro lombardo è innanzitutto un fallimento politico. Una débâcle che arriva da decenni di malgoverno della Lombardia.

Morti/milione di abitanti (dati alle 3:37 am del 22 aprile 2020):

Lombardia 1258

Stato di New York 1004

Belgio 518

Spagna 479

Italia (totale) 408

Francia 319

U.K. 255

Italia (senza Lombardia) 241

Olanda 219

Svezia 175

Svizzera 171

Irlanda 148

Stati Uniti 137

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Dati – dati – dati. Se alla scienza togli i dati, affidabili e certi, cosa resta del metodo scientifico?

Uno studio dell’Università di Bergamo sta cercando di ricostruire il numero di morti per Coronavirus nella provincia, uno dei focolai più colpiti d’Italia, usando non i dati ufficiali, ma il numero di necrologi pubblicati sull’Eco di Bergamo. Oggi un altro giornale locale riporta un articolo secondo cui l’Avis di Castiglione D’Adda (Lodi, altro focolaio del cosiddetto Paziente 1, il signora Mattia) ha rilevato che il 70% dei donatori di sangue sarebbe risultato positivo al Covid-19. Non parliamo poi del controverso rapporto dell’Imperial College che ha svolto un apparentemente “brillante”, quanto “indecifrabile” Reverse Engineering sui dati in possesso, attraverso un cammino a ritroso, dall’indice di letalità alla platea dei contagiati: “uno studio scolastico che non tiene conto delle specificità nazionali, della demografia (età), degli eventi particolari (gli ospedali che hanno fatto da incubatori)”, mi ha fatto notare un giornalista esperto di dati. Aver dato per buono l’indice di letalità (anche se i dati ufficiali sembrano convergere: ma quali dati ufficiali, quelli cinesi, che la CIA ha definito del tutto inaffidabili? Quelli italiani, dove i test sono stati fatti solo ai pazienti con sintomi relativamente gravi e non sono stati fatti i tamponi nemmeno ai defunti?) è già un salto nel buio: un professore di Statistica del Politecnico di Milano mi ha scritto: “Per essere affidabile occorrerebbe un criterio uniforme per imputare le morti al Covid-19, e già questo manca” (basta guardare alla discrepanza fra Italia e Germania, “troppo accentuata a prima vista”, nonostante alcune spiegazioni finora illustrate: l’ampia disponibilità di ICU in Germania – mentre in Lombardia l’alto numero di perdite è da attribuire anche alla carenza di posti in terapia intensiva rispetto alla domanda -, lo stile di vita degli anziani tedeschi, che vivono vite più separate rispetto ai giovani e ai nipoti, mentre in Italia pesa la co-residenza di anziani e giovani nella famiglia allargata italiana oltre alla frequenza di contatto fisico nelle interazioni sociali).

Lavoce.info ha osservato che il numero di pazienti ospedalizzati è più che quadruplicato, mentre il numero di pazienti in terapia intensiva è solo più che triplicato. Vuol dire che il rapporto fra ospedalizzati e pazienti in Terapia Intensiva dovrebbe essere rimasto costante, mentre nella realtà ha subito un andamento decrescente.

Inoltre, le morti da Coronavirus dichiarate in Italia sono state sottostimate? In un primo tempo, sembravano sovrastimate, ma poi (e l’ultima analisi, per quanto “ingegnosa” dell’Università di Bergamo, lo confermerebbe) è stato appurato che non è stato effettuato il tampone ai tantissimi morti in casa o nelle case di riposo: le dichiarazioni di morte per Covid-19 sono irrealistiche e sottostimate.

Il punto dolente è che mancano i dati. Gli unici dati certi sono il numero di ospedalizzati e di persone in Terapia Intensiva (TI o ICU), mentre i dati di contagiati e morti sono sottostimati, non affidabili e non accertati, se non in parte.

Gli scienziati, senza dati certi ed affidabili, raccolti seguendo il metodo scientifico, brancolano nel buio. I dati da “prendere con le molle” rappresentano un vulnus al metodo scientifico: un singolo numero, in un processo a ritroso, può far saltare tutte le stime.

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Torniamo al tema di partenza: il metodo scientifico, che coniuga l’osservazione sperimentale con la costruzione di un linguaggio coerente e rigoroso, ha bisogno di dati, affidabili e certificati, al fine di garantire sempre la riproducibilità e la verificabilità delle osservazioni su cui i processi di acquisizione teorica si basano. Nel Discorso sul Metodo, Cartesio parla dell’evidenza e della necessità di accogliere solo le conoscenze chiare e distinte. Ma qui sembra che ci costringano a tornare indietro di secoli: pare che si debba tornare al naturalismo antico e medievale, dove l’indagine si fonda dell’osservazione, diretta o indiretta, delle proprietà empiriche in condizioni naturali: dov’è la razionalità, dove sono i criteri generali di razionalità ed obiettività, dove la significatività e la comunicabilità? In che misura sono garantite le condizioni del metodo sperimentale per verificare determinati fenomeni al fine di sottoporre a controllo (confermandole o al contrario smentendole con una confutazione) le previsioni teoriche? Ma soprattutto come possiamo procedere all’elaborazione statistica dei dati raccolti nella misurazione di determinate grandezze, al fine di stabilirne il valore più probabile con il relativo intervallo di indeterminazione (o errore di misura), se i dati raccolti sono incompleti?

Rimane un vulnus nello studio di questa pandemia: non aver raccolto tutti i dati, non aver saputo mettere a punto un campione significativo, non aver identificato un bias che servirebbe a stimare, per esempio, la percentuale di positivi asintomatici nella popolazione.

Un ingegnere mi ha spiegato che non si è fatto alcuno sforzo di “normare” un metodo di selezione dei campioni statistici da misurare e ciò comporta un’inevitabile conseguenza: senza un metodo, chiunque otterrà i dati che fanno comodo per sempre. “Sembriamo quelli che commercializzano tessuti vendendoli a lunghezza, ma ogni sartyo utilizza, come “metro”, un pezzo di legno trovato in giardino”: non ha senso. E conclude: “Tanta enfasi sugli asintomatici, ma non si capisce perché non si decida di scegliere un campione di un migliaio o due mila persone apparentemente sane, per capire quanti siano i ‘malati silenti’… Senza un dato sui tamponi, valutato in modo statistico, chiunque può scrivere ciò che vuole al denominatore, ma a quel punto l’indice di letalità diventa un’incognita”.

Ecco, oltre ai troppi morti e alle famiglie dei defunti (che neanche hanno potuto dare l’estremo saluto ai propri cari), oltre a 3,5 miliardi di persone (metà della popolazione mondiale!) in quarantena, c’è un’altra illustre vittima in questa pancemia del XXI Secolo: il metodo scientifico. Che non è il tabellone di un flipper, ma la modalità con cui la scienza procede, attraverso la fese induttiva e deduttiva (il principio di falsificabilità di Popper), per raggiungere una conoscenza oggettiva, affidabile, verificabile e condivisibile. Ma tutto ciò è possibile se si raccolgono i dati in maniera rigorosa. Dati, dati, dati.

L’appello dei 150 accademici e scienziati per raccogliere dati trasparenti, indagini demoscopiche su camipioni, tracciamento dei contagi è già un importante passo avanti.

@CastigliMirella

La caduta del mito dell’eccellenza lombarda

La colonna di mezzi militari porta via i feretri da Bergamo da destinare a crematori fuori regione, dopo aver ammassato bare nelle Chiese

Tutto ebbe inizio probabilmente a inizio gennaio nella regione più progredita d’Italia, con più legami finanziari e rapporti economici con Germania e Cina, la ricca Lombardia, la locomotiva d’Italia, nella seconda manifattura d’Europa. Lì forse si annidava il focolaio, nel bergamasco, quando si decise di far giocare due partite: Albino – Codogno (partita, girone B, giocata il 9 febbraio) e Atalanta – Valencia (coppa Uefa, il 19 febbraio, giocata a Milano). Il triangolo delle Bermude italiano – Val Seriana, Bergamo, Milano – che esporta il Coronavirus nel focolaio spagnolo di Valencia (poi la Spagna farà il patatrac festeggiando a Madrid l’8 marzo in piazza).

Il Coronavirus in Italia è quasi sotto controllo, con percentuali in linea con l’Europa e perfino con la Germania. Ma è in Lombardia che il tasso di mortalità raggiunge percentuali a doppia cifra.

Nell’analisi quantitativa dei fenomeni, quando un aggregato di dati è fortemente anomalo rispetto agli altri, esso deve essere scorporato e messo sotto la lente, proprio al fine di svolgere un’analisi corretta. Quindi, procediamo, esaminiamo il caso lombardo.

In Lombardia si contano più morti di Covid-19 che in Cina e Stati Uniti messi insieme. Cosa sta succedendo nella regione della capitale morale d’Italia?

Gli Stati Uniti sono riusciti ad acquistare in Lombardia mezzo milione di kit per individuare il contagio. Li hanno trasferiti a Memphis con un aereo cargo militare. Da Brescia, la Leonessa d’Italia, una città con 7300 contagiati e oltre mille morti.

Ma com’è possibile che un’azienda bresciana sia stata legittimata a vendere a prezzo di mercato tamponi agli USA, quando l’ISS, seguendo le direttive OMS (il cui Tweet “test – test -test!” ha fatto scuola nel mondo), preme per far effettuare tamponi sui sintomatici? L’azienda bresciana ha spiegato di aver venduto i kit diagnostici all’America di Trump perché la Regione Lombardia non era in grado di processare i test. La Germania sta effettuando 500mila tamponi a settimana, come ha spiegato l’eurodeputato e medico tedesco Liese. Nel nostro Paese, dall’inizio dell’epidemia, ne sono stati fatti poco più di 320 mila, ma il numero dei test non corrisponde al numero di persone sottoposte a tampone (perché una persona fa più test). L’Italia fa tamponi soltanto ai sintomatici, e in diverse regioni come la Lombardia soltanto a chi presenta sintomi sopra una certa gravità.

Ma non sono gli unici interrogativi rimasti inevasi nella Lombardia con 37mila contagiati e 5400 morti (dati 27 marzo 2020) ovvero la Regione, lo ripetiamo, con più morti di Cina e USA messi insieme.

Un’altra domanda non ha ricevuto ancora risposta. L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) aveva chiesto di fare una zona rossa nella Bergamasca, dove era stato individuato un focolaio nella zona di Alzano Lombardo e Nembro. Ma la Regione Lombardia dice che la risposta del governo non è mai arrivata: perché non è stata sollecitata? Perché la Lombardia è arrivata ad aver una mortalità del 10%, quando il tasso di mortalità nel mondo è meno della metà?

In poche parole: cosa sta succedendo davvero nella regione Lombardia,  dove 310 contagiati si annidano solo fra infermieri e medici all’ospedale di Brescia. La sanità lombarda è un’eccellenza. Ma la regione, in piena pandemia da Coronavirus, pur vantando eccellenze che il mondo ci invidia, non ha un sistema di prossimità e di presidio territoriale. La regione non fa i tamponi a chi presenta sintomi sospetti (ma solo oltre una certa gravità), disattendendo le prescrizioni dell’ISS e  la raccomandazione “test – test – test!” dell’OMS. L’Emilia-Romagna. grazie a una sanità capillare, sta migliorando a vista d’occhio.

La ricetta sud-coreana delle tre T

La mappa dell’OMS della diffusione del contagio da Coronavirus

C’è un Paese al mondo che sta combattendo l’epidemia, ormai pandemia, da Coronavirus con un approccio che unisce scienza e tecnologia. È la Sud-Corea, il Paese dove una setta religiosa dedita alla segretezza, ha consentito all’epidemia di espandersi a macchia d’olio. Ma la patria di Samsung non si è fatto travolgere dal panico e da fenomeni di psicosi di massa, ma ha abbracciato un approccio che ora tutti chiamano la ricetta delle tre T: Traccia, Testa, Tratta (in inglese: trace, test and treat).

Partiamo dai test, la seconda T. In Sud-Corea si svolgono 20mila tamponi al giorno: un alto volume di tamponi mirati, mentre il tracciamento geo-localizzato mette in quarantena i cittadini. Le persone sintomatiche, con febbre e tosse, che temono di aver contratto il temibile Covid-19 si presentano in un parcheggio presso l’ospedale di Seul, tira fuori la lingua e il personale, con tute ad hoc e mascherine protettive per non contaminarsi, prende il tampone per effettuare il test.

La Sud-Corea non fa troppi tamponi, ma li fa seguendo un approccio scientifico: sapere per deliberare. Ma non finisce qui nel Paese dove si trova la capitale degli smartphone: non solo è importante testare, ma anche monitorare.

La Sud-Corea traccia. Il Paese asiatico ha preferito adottare la geo-referenziazione dei casi di contagio, identificando i singoli focolai su mappe. Un uso sapiente della tecnologia ha aiutato la Sud-Corea a contenere ed arginare la diffusione da Coronavirus, dimostrando che l’IT salva la vita, nel rispetto della privacy. Ammettiamo che è molto triste dover stampare in Italia obsolete ed anacronistiche auto-dichiarazioni su modulo cartaceo, quando tutti abbiamo in tasca uno smartphone ed applicare la geo-localizzazione avrebbe risolto molte problematiche.

In Corea del Sud, dopo l’esplosione iniziale, la curva dei contagi prima si è stabilizzata, ma presto ha già iniziato a flettere. Finora sono morti 66 pazienti su 7800 (contro i nostri 827 morti su circa 12500 contagi). Il tasso di mortalità è dello 0.7%. La strategia sudcoreana, che è stata impostata sul trattamento della Middle East Respiratory syndrome (Mers), l’epidemia del Medio-Oriente successiva alla Sars, ha molto da insegnarci.

Anche a Taiwan sfruttano l’analisi dei Big Data e la geo-referenziazione per ricostruire la catena di trasmissione del Coronavirus e per tracciare persone ammalate in quarantena, contenendo l’epidemia.

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La Sud-Corea traccia (i malati) con la geo-localizzazione per monitorarne la quarantena (chi è sintomatico ma non sta male deve stare a casa e rispettare le regole), testa il più possibile con i tamponi e poi tratta la malattia per curare i sintomatici in grave difficoltà respiratoria.

La Sud-Corea è un modello da imitare. Soprattutto per ridurre i tassi di mortalità e letalità. Riflettiamoci.

@CastigliMirella

Ultima chiamata per l’Europa nell’ora più buia e nel Lunedì Nero da Coronavirus

La Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen

Con i primi due contagiati a Cipro, tutta la UE è colpita dal Coronavirus. Il prezzo del petrolio crolla da giorni: il -31% di oggi è il peggior calo dall’epoca della Guerra del Golfo. La Borsa di Milano, in caduta verticale, ha vissuto un lunedì nero, toccando -11,17%, con molti titoli sospesi per eccesso di ribasso, mentre lo Spread è balzato a 227 punti. Ma Francoforte, Parigi e pure la Londra della Brexit viaggiano in profondo rosso_ -8%, mentre l’oro schizza in su (48 euro al grammo), anche Wall Street è partita in forte ribasso, con una sospensione delle contrattazioni che non si vedeva dal 2008, ai tempi della piena crisi finanziaria post Lehman Brothers. Per la prima volta l’OMS parla di minaccia di pandemia. Il MEF promette un’azione vigorosa e temporanea per evitare danni permanenti all’economia, come ha chiesto il Fondo Monetario Internazionale (FMI). Anche il falco Drombovskis ha promesso un intervento imminente: l’Eurozona è pronta ad usare altri strumenti. Del resto, è chiaro a tutti: il Coronavirus non conosce frontiere, si diffonde rapidamente e uniti si vince, divisi ci si contagia e si rischia grosso. Sul fronte della salute pubblica, ma anche dell’economia e della finanza.

Vuoto ed incertezza stanno generando panico nei mercati, come dopo le torri gemelle o il fallimento della banca d’affari Lehman Brothers. Da sempre l’Europa ha compiuto uno scatto d’orgoglio sull’orlo del baratro. Il “Whatever it takes” di Mario Draghi, allora Presidente della BCE, arrivò mentre lo Spread divorava le speranze degli italiani.

Intanto il crollo del traffico aereo sta mettendo in ginocchio il turismo, a causa della restrizione dei movimenti per contenere la diffusione del Coronavirus.

Ci chiediamo se sia l’ora più buia. La Germania, con bilancio in pareggio e debito basso, è il Paese con maggiori capacità e responsabilità. La Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il capo della BCE Lagarde, successore di Draghi, devono prendere decisioni importanti: oggi sono chiamate a fare la storia, perché – ormai è evidente a tutti – uniti si vince, divisi si perde. Le rivolte dei carcerati sui tetti degli istituti di pena italiani, le scene di panico nei supermercati a Londra, l’assalto ai treni per il Sud degli immigrati pugliesi e campani alla stazione di Milano (in Puglia sfiorano i 10mila i fuggiti dalle zone rosse, senza permesso) sono solo alcuni esempi dello scenario in cui ci stiamo muovendo.

Forse, alla fine dell’epidemia (che secondo l’OMS ormai sembra trasformarsi in pandemia e Moody’s teme che pandemia faccia rima con recessione), ci sarà un mondo pre-Covid-19 e un mondo post-Coronavirus. Adesso è l’ora di restare a casa per arginare la diffusione del virus che rischia di mettere a soqquadro il sistema sanitario nazionale (SSN), ma già domani servirà una sferzata all’economia per evitare danni consistenti e permanenti all’Italia, all’Eurozona e all’economia globale. Serve un Whatever it takes – non a parole, ma nei fatti – anche nelle scelte a Bruxelles. Fra l’altro, in Grecia, al confine con la Turchia, la crisi dei migranti è feroce e pare giunto il momento di iniziare da un comune esercito europeo, mentre la NaTO è paralizzata da uno scontro internop fra turchi e greci, per proseguire con un lancio di Eurobond (non per fare vaccate come Quota 100!), dedicato a infrastrutture – anche digitali! – europee e per una sanità UE (è l’ora di delegare sovranità a Bruxelles anche in questo settore) e per salvare le PMI in Eurozona eccetera. Winston Churchill, nell’ora più buia, promise lacrime e sangue per conseguire la vittoria. In Europa l’emergenza Coronavirus fa paura, ma proprio per questo, serve un coraggioso scatto in avanti: è l’ora della fiducia comune per dare un futuro di speranza e stabilità al Vecchio Continente. Presidente von der Leyen, ci stupisca e faccia la storia d’Europa. Noi siamo europei e la sosterremo. A qualunque costo.

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