
Non sappiamo ancora quale destino attenda Jeremy Corbyn, il grigio politico della Sinistra Novecentesca che sembra uscito da un sit-in anni ’60, un ectoplasma di una Tv analogica a tubo catodico, un insipido personaggio di una pellicola in celluloide di Ken Loach, ed oggi Grande Sconfitto alle elezioni del 12 dicembre, fino a ieri osannato come raro, se non unico fulgido faro del fu Socialismo mondiale insieme a Bernie Sanders (che almeno scalda gli animi delle giovani generazioni tecnologiche negli USA), un leader così carismatico da riuscire a perdere seggi che erano saldamente rossi da cent’anni (in oltre un secolo di gloriosa storia dei laburisti britannici!) ed oggi si sono bruscamente risvegliati dal sonno del ‘900, ridipinti blu Tories. Il colore dell’anno Pantone 2020. Non sappiamo ancora quale sarà il ruolo del partito laburista dopo la sonora sconfitta di ieri, ma soprattutto non abbiamo la palla di cristallo per prevedere il futuro della Gran Bretagna durante e dopo la Brexit, anticipare le ambizioni di Boris Johnson, che da domani, scolata l’ultima bottiglia di prosecco (il bestseller dell’export italiano, presto colpito dai dazi, frutto del tramonto del Mercato unico europeo nell’era del Leave) sarà impegnato in una – fantomatica e ricca di incognite – ri-costruzione della Special Relationship che dai tempi della II guerra mondiale lega il Regno Unito agli Stati Uniti, oggi guidati dall’umorale Presidente Donald Trump, il Potus che un giorno pare appoggiare Salvini e, dopo una manciata di settimane, al primo allarme sul debito italiano e su presunte interferenze russe, appoggia “Giuseppi Conte” in un governo che butta a mare, come un vecchio barcone usato, il leader leghista… Ma se non sappiamo che fine farà la Little Britain di Johnson dopo l’uscita dall’Unione europea, non siamo neanche in grado di intuire fino in fondo l’effetto del voto di ieri nell’orgogliosa, europeista Scozia che, in massa, ha votato – di nuovo – per il Remain, ribadendo il rifiuto di seguire le orme di Londra nella terra incognita della Brexit, anche in un’elezione politica che – de facto – si è rivelata un secondo Referendum dopo quello del 2016, e un voto di pancia pro isolazionismo, sulla scia delle vittorie di Trump – Bolsonaro – e, forse un giorno chissà, proprio di quel Salvini, tanto imitato e portato ad esempio nella galassia sovranista, quanto impossibilitato a governare finché il governo Conte 2, la vendetta, dura e finché Bruxelles comanda. Perché, ammettiamolo: le elezioni di ieri in UK non erano le politiche, bensì le anti-europee: i sudditi di Sua Maestà hanno votato, ancora una volta, per il divorzio da Bruxelles, per uscire finalmente, senza sconti e ipocrisie, senza fraintendimenti o trucchi alla maniera di Theresa May dall’odiata Unione europea (UE). Ma non solo. Di più. Il voto di ieri è stata anche l’uscita dal Secolo scorso, uno schiaffo – forse fatale – al Novecento, alle obsolete, ma oggi forse defunte ideologie del secolo scorso, che, breve o no, ha segnato i decenni delle lotte operaie, lasciando in eredità la costruzione del Welfare (quello cui il Regno Unito potrebbe essere costretto a rinunciare per diventare provincia oltremare dell’impero americano?) e i cortei per i diritti civili, il femminismo, la contrapposizione fra socialismo e liberalismo politico (liberista in economia) di Margaret Thatcher. Il voto per l’isolazionista Johnson è stato un voto contro Corbyn e una (definitiva?) exit dal confuso e immaginario progetto vetero-marxista del partito laburista di questi ultimi anni, un mix di anti-capitalismo d’antan, polverosi, ma faraonici piani di nazionalizzazioni a raffica, anti-semitismo travestito da anti-sionismo e un’accozzaglia di slogan che sfioravano l’anacronismo negli anni ’60, ma ai giovani di oggi devono apparire come chincaglierie dei tempi delle Guerre Puniche. Residuati bellici da cestinare nell’indifferenziato.
E così anche il glorioso partito laburista finisce in soffitta, come già era successo a Marx ai tempi d’oro del Labour, e, per venire ai nostri giorni, al Partito Socialista francese, ridotto al lumicino dopo la fallimentare presidenza Hollande, alla Socialdemocrazia tedesca, sorpassata dai giovani Verdi, e a tanti altri piccoli o ex grandi partiti della storia socialista europea su cui ieri è calato, forse definitivamente, il sipario della storia (citofonare a LEU e a Sinistra Italiana che galleggiano in fondo a tutti i sondaggi).
I cittadini britannici hanno espresso il loro appoggio ai Conservatori guidati dall’istrionico, ma da sempre, testardamente euroscettico Boris Johnson, e, contemporaneamente, respinto con forza il costosissimo e irrealizzabile piano di nazionalizzazioni neo-marxista dello sfidante laburista Corbyn, che ha subìto una sconfitta bruciante per aver spostato a sinistra il Labour che fu di Tony Blair, il teorico della Terza Via, colui che, con oltre un decennio di ritardo, in Italia aveva ispirato Matteo Renzi, un altro ex leader, oggi crollato al 4-5% dei sondaggi contro il 40% conquistato all’apice del successo della sua meteora politica nelle elezioni europee del 2014, il Senatore di Pontassieve i cui sogni di gloria si infransero in un altro disastroso Referendum (questa volta di riforma Costituzionale) nel 2016, come già era stato spazzato via Cameron, travolto dallo tsunami sovranista ed euroscettico nel Referendum contro il Remain in EU che ha fatto da humus politico-culturale per le vittorie di Trump (e terreno di prove tecniche di propaganda digitale mirata sugli indecisi) e dei suoi alleati immaginari, quei sovranisti, nazionalisti o quanto meno isolazionisti, che oggi siedono ai vertici dei rispettivi governi in UK (con BoJo), Brasile (con Bolsonaro), Filippine (con Duterte), Giappone (con Abe), India (con Modi) eccetera. Il Fronte Sovranista del Nuovo Ordine Mondiale anti-cinese.
Paura, istinti, pancia, propaganda. L’ennesima rivolta “dal basso”, manipolata dall’alto, attraverso un’oliata macchina propagandistica che sfrutta la Rete in maniera distopica e i social media in maniera chirurgica, gettata a tutta velocità e con una potenza di fuoco enorme contro la politica grigia della politique politicienne e le vetuste élite e che in UK ha mandato a casa prima Cameron, sconfitto insieme a tutti i Remainer nel Referendum contro l’Europa, e ora anche il (mai-stato-europeista ma senza dubbio) ideologo neo-marxista Corbyn, l’ex Papa Straniero che aveva affascinato anche la sinistra-centro italiana, in eterna caccia d’identità dopo la Grande Crisi del 2009-2011, forgiato dal rigetto delle privatizzazioni Thatcheriane, la cui politica industriale faceva perfino impallidire i già iperuranici e insostenibili piani del M5S e LEU (insieme a pezzi di classe dirigente dalemian-bersaniana del PD di Zingaretti) per nazionalizzare l’ex Ilva di Taranto, le Autostrade per l’Italia e la fallimentare Alitalia, già ribattezzata (F)al(l)italia, un carrozzone che, solo in una manciata di decenni, ha bruciato una decina di miliardi di euro, in un falò delle vanità aspirazionali del Paese che vanta il terzo debito pubblico al mondo e una crescita asfittica, maglia nera in Eurozona, da oltre vent’anni.
Con il voto di ieri, la Brexit finalmente esce dai sogni fumosi e acquista concretezza, finirà per rappresentare una cesura, ma perfino un’opportunità, se la UE, guidata dalla nèo-eletta Commissione di Ursula von der Leyen, saprà cogliere. Potremo davvero toccare con mano cosa significa uscire-dall’-Europa, una frase così vaga da diventare un feticcio per gli agiografi Sovranisti di tutta Europa, escluso il Gruppo di Visegrad che agli investimenti europei si guarda bene dal voler rinunciare, e un mantra per gli euro-scettici italiani guidati da Borghi, Bagnai e Rinaldi, la cui guerra all’euro (e in questi giorni al MES, il meccanismo di stabilità) è il vero vessillo brandito come una clava, o la spada di Alberto da Giussano che scintilla spavalda dagli spilloni che spiccano sul bavero delle giacche dei leader leghisti, per mandare in frantumi l’Europa unita e l’euro, la moneta comune che ha sconquassato le politiche monetarie e pure certi sogni imperali di Trump. Ma questa è un’altra storia.
Oggi in mille pezzi finisce l’Utopia Socialista, l’ideologia novecentesca, quella che voleva combattere le disuguaglianze, a favore della lotta di classe, contro le privatizzazioni, la Globalizzazione, il capitalismo (nell’accezione neo-liberista ma non solo), cullandosi nell’idea di tornare alle Piccole Patrie e alle nazionalizzazioni di cui quasi nessuno, tranne una certa sinistra italiana, sente alcuna nostalgia. Quel vetero-marxismo delle fotografie color seppia alla Ken Loach che si è infranto contro il Protezionismo isolazionista di Boris Johnson, il nuovo alfiere del Progetto Sovranista di Trump. Tramonta il sol dell’avvenire, che si è dimostrato, fin dai suoi esordi, fin dagli anni ’20 del secolo scorso, il miglior alleato e il vero trampolino di lancio delle destre occidentali. Exit. Sipario. Quello che sta per aprirsi è un nuovo capitolo, dove protagonisti saranno i nazionalisti scozzesi (sarà la Scozia la New Catalogna, europeista ma pronta a divorziare da Londra?) e soprattutto i giovani europei che, seguaci smarriti dell’attivista ambientalista Greta Thunberg o del nuovissimo movimento tricolore delle Sardine, stanno creando smottamenti e sommovimenti nell’area di sinistra della scena globale l’una, nazionale l’altra, uniti dal fil rouge dell’uso sapiente della Rete, dell’engagement social, dell’eco-sensibilità Green e dal rifiuto dell’Hate Speech e dell’approccio anti-scientifico (dei negazionisti del climate change, dei no vax eccetera) che invece accomunano tutti i sovranisti sullo scacchiere mondiale. Sipario: il marxismo è morto, ma la lotta per i Nuovi Diritti delle nuove generazioni (contro l’odio – contro il negazionismo climatico eccetera) è più viva che mai. E va dal Cile ad Hong Kong, ma anche dalla Catalogna alla Scozia. Il futuro è loro? Intanto parla i linguaggi (anche informatici) del XXI secolo.
Mirella Castigli https://twitter.com/castiglimirella