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Coronavirus, l’OMS promuove la Cina: pragmatica, razionale, efficace. E non ha taroccato i dati

L’OMS riabilita la Cina nella gestione del caso Coronavirus: ha fatto tutto ciò che andava svolto, sacrificando la propria crescita del PIL per regalare tempo all’Occidente di prepararsi alle criticità di un’epidemia su scala globale

L’Organizzazione Mondiale Sanità (OMS) ha messo una pietra tombale sulle polemiche sollevate sui media a proposito della presunta opacità della Cina nella fase iniziale del monitoraggio e della gestione dell’epidemia da Coronavirus. Pechino è stata trasparente e sta vincendo sul campo un’insidiosa battaglia, diventando una case history da emulare.

I dubbi sulla Cina erano emersi dall’incongruenza delle date sullo scoppio dell’epidemia: ma ormai è chiaro, a livello scientifico (vedi: virologa Ilaria Capua e infettivologo Galli), che il virus circolava sotto traccia da settimane, forse fra metà ottobre e metà novembre, ben prima delle date ufficiali fin qui rese note. E Pechino è stata travolta da uno tsunami di informazioni frammentarie, imprecise, incomplete, confuse e disorientati, ma mai truccati: la Cina non ha mai occultato o alterato i dati sul virus che sta facendo tremare Wall Street, dove la caduta verticale dell’indice Dow Jones del 27 febbraio è stato uno dei crolli più imponenti dai tempi del crac di Lehmnan Brothers. Le autorità cinesi si sono trovate semplicemente in difficoltà di unire i puntini delle informazioni parziali di un problema complesso, mettendo insieme il puzzle dei pezzi che giungevano dal focolaio dell’epidemia da Coronavirus nello Hubei.

La Cina non si è comportata come l’URSS con Chernobyl, come un autocrate che nega l’evidenza, non ha mai occultato i dati. E qui noi occidentali dovremmo chiedere scusa per aver dubitato del Presidente a vita Xi Jinping e della correttezza del sistema cinese.

La maxi quarantena di Wuhan ha bloccato con efficacia e tempestività, una volta capite le dimensioni dell’epidemia, molti dei canali tradizionali di trasmissione del Coronavirus: l’autorità centrale ha applicato misure di contenimento epocali con una sistematicità, un rigore e un saldo pragmatismo tali da salvaguardare il sistema sanitario cinese che ha retto, nonostante lo shock iniziale di trovarsi di fronte a una malattia ignota (che non è affatto un’influenza normale, ma neanche una Sars, di cui non ha la letalità – il Coronavirus è letale nelle percentuali di un virus influenzale -, ma solo la velocità di diffusione del virus).

Non solo la Cina ha evitato il peggio per la sua popolazione, ma soprattutto ha avuto la lungimiranza illuminata di guardare oltre: ha saputo sacrificare la propria crescita in termini di PIL, per regalare tempo all’Occidente affinché si preparasse all’impatto del Coronavirus con altrettanta solerzia e rigore scientifico. La Cina ha segregato interi quartieri e città, rallentando il contagio e offrendo informazioni semplici, chiare e capillari, che non generassero psicosi di massa, ma anzi tranquillizzassero la popolazione, con una narrazione positiva, sul fatto che il governo aveva il polso della situazione, manteneva l’ordine pubblico e al contempo offriva una soluzione valida a un problema sconosciuto.

Il vero pericolo del nuovo Coronavirus si riferisce al rischio di ospedalizzazione: se il 90% guarisce quasi senza problemi, il 5-10 per cento dei contagiati necessita di terapie intensive, ma si tratta di cifre in grado di mettere in ginocchio il sistema sanitario di qualsiasi Paese. A meno che non si segua l’esempio del contenimento cinese: razionale, sistematico, pragmatico e, soprattutto, efficace. Funziona. E non provoca shock superiori alle perdite economiche. La Cina ha avuto fiducia totale nel Metodo Scientifico e ora, dopo settimane, ne è stata ripagata: riceve l’elogio dell’OMS, ha finalmente imboccato la strada giusta, i parametri sono tutti in fase discendente in maniera univoca. Il peggio è finalmente alle spalle, tanto che la crisi economica, dovuta alla quarantena, dovrebbe essere a V, al rapido declino dovrebbe seguire una repentina risalita (e non una crisi a U). A questo proposito, l’UE vanta un Fondo di Solidarietà che finanzia Paesi colpiti da disastri naturali: ha finora concesso 5,5 miliardi ai Paesi membri, di cui metà all’Italia (il resto ai restanti 27 membri), e si tratta di finanziamenti che non devono essere restituiti.

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Ora tocca all’Europa affrontare l’emergenza con le stesse misure di contenimento e isolamento: servirà una terapia d’urto per far uscire l’Eurozona dalla recessione, ma uniti possiamo farcela. Divisi, finiamo stritolati, come sempre, come vasi di coccio fra vasi di ferro.

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